Resistere è…

Resistere è continuare a lottare, sempre e comunque. Resistere è un desiderio, una speranza e un’esortazione.

Resistere non è cancellare gli sbagli, eliminare il passato o, peggio, riscriverlo a colori. Resistere è rivivere ogni giorno con in mente quei ricordi, quel passato e quelle sfumature di bianco e di nero, un misero grigio che non deve mai essere lavato.

Resistere è sforzare di tenere gli occhi aperti anche se a volte chiuderli e lasciarsi cullare dal sonno è la scelta più facile. Resistere è guardare la fame, l’odio e l’orrore e dire il mio mondo è un altro.

Resistere è un ruggito, un’accettazione e una negazione. Resistere è una meta, resistere è un punto di partenza.

Resistere è quel che ci resta.

Buon 25 Aprile.

Trama bene chi… trama bene

Il sogno di ogni scrivano che si rispetti è – dovrebbe essere – quella di dar vita a qualcosa di unico. E sì, ho detto sogno. L’aspirazione, in my very humble opinion, è fare soldi. Bando alle ipocrisie, a quale scrivente non piacerebbe vivere con le proprie righe?

Dove risiede, dunque, questa unicità? Non esistono dogmi che tengono, l’unicità nasce spontaneamente da una serie di creazioni e sottocreazioni, dall’abilità di chi scrive nello scrivere e nel riuscire a far convergere elementi spesso differenti. Mi rendo conto che ho scritto in arabo ma io, suddetta abilità, non penso di averla.
Andiamo con un po’ di ordine:

– Prima cosa che ritengo sbagliata è rifuggire dai cliché come se fossero il male assoluto, la belva a tre teste che divora le carni e assorbe le anime del povero colui che scrive. L’originalità di un cliché è direttamente proporzionale solo e soltanto all’abilità di chi scrive. Se si sa “disegnare” il personaggio, questo risulterà comunque nuovo. Quali armi per farlo? Da “uno che pensa di sapere benché non sappia fare” i consigli sono due:

  • Background: tutti hanno una vita, tutti hanno delle relazioni. Ogni singolo evento ci segna, nella realtà come nella fantasia, anche dietro una ruga può esserci una storia. Tiriamola fuori e la cameriera che serve caffé annacquato in una tavola texana o il poliziotto yankee con un divorzio alle spalle e un passato/presente d’alcolista possono comunque andare bene se ben lavorati.
  • Dialoghi: come caratterizzare un personaggio se non facendolo vivere, interagire e relazionare con gli altri? Ieri, nel blog di Vale si è “parlato” di The Stand: l’Ombra dello Scorpione. Il successo del libro in questione, imho, risiede proprio nella capacità dello scrittore di creare quell’insieme di situazioni che rendono i personaggi vivi. Senza scendere troppo nel dettaglio della trama è come se l’evento scatenante i fatti del libro fosse solo un pretesto per permettere all’autore di raccontarci le storie di Stu, Larry e compagnia bella.

Questo per quanto riguarda i personaggi. L’originalità di un’opera, però, non si esaurisce qui. C’è dell’altro, per esempio… no, aspetta. Se scrivo tutto ora poi mi tocca sparire. Non è questo quello che volete, vero?

Alla prossima,
Qwerty.

Nessuno tocchi Cai… Paperone

Leggevo quest’articolo sul Messaggero.it e, in particolare, mi sono soffermato a studiare questa immagine:

Come al solito i numeri non mostrano correttamente gli ordini di grandezza e, quindi, analizzando le cifre in questione potremmo limitarci a dire che “beh… vabbé… seh!”

In realtà questi numeri possono assumere una valenza ben diversa se li compariamo alla ricchezza nazionale.
Innanzitutto, cos’è la ricchezza? Così com’è definita nell’articolo, la ricchezza in questione è un indicatore patrimoniale che, in un determinato istante, fotografa il patrimonio di una persona: tutti i suoi beni, quindi; mobili e immobili, sia in ambito patrimoniale sia in quello finanziario.
Facendo una rapida somma (considero, per convenienza, le migliaia di milioni… numerini da poco, insomma):

14,2 m +
4,4 m +
10,5 m +
2,7 m +
8,6 m +
1,9 m +
5,4 m +
1,5 m +
5,1 m +
1,3 m =
———–
55,6 m

55,6 miliardi di euro, se la matematica non mi abbandona proprio ora. A quanto ammontano? A una bella paccata di soldi (cit.)
Però non sto qui a scadere nel populismo, non credo che – salvo qualcUNO di loro – si possa considerare questa gente colpevole di qualcosa. Anzi, spesso il loro denaro crea posti di lavoro e sviluppo.

A farmi storcere il naso, piuttosto, è la comparazione di cui parlavo prima: queste 10 persone/famiglie hanno patrimonio pari a quello di 3 milioni di italiani. In un contesto, quello nostrano, in cui nel 2009 – non ho la fonte a portata di mano, posso sbagliare – il 10% della popolazione dispone del 45% della ricchezza nazionale.
Non me la prendo con questa gente, ripeto. Il sistema non funziona, mica loro…

Robin Hood teorizzava il dare al povero togliendo al ricco. E questa perversa idea, spesso, è portata avanti dagli stessi “ricchi” che – con un po’ di cervello – capiscono che il sistema paese interessa a “loro” tanto quanto a noi.

Link 1

Link 2

E da noi? I super-ricchi nicchiano. Le fondazioni bancarie si fanno scudo con la propria generosità. I calciatori scioperano. Il vaticano non si sa se pagherà – quantomeno – l’Imu… in compenso, però, parla la Ferilli:

ROMA – «Ho avuto tante volte la tentazione di fare le valigie e di lasciare l’Italia. Ci portano all’esasperazione». Questo lo ‘sfogo’ di Sabrina Ferilli, intervistata da Alfonso Signorini su “Chi”, nel numero oggi in edicola.

”Sono sempre rimasta, perché sono legata alla mia storia. Io adoro il mio Paese, amo gli italiani, mi ci riconosco – aggiunge la Ferilli -: è un popolo che in questo momento è smarrito, ma resta il migliore del mondo. Però la gente non è lo Stato. E lo Stato, questo Stato, è cattivo. Alcuni politici continuano a sostenere che bisogna chiedere i soldi solo ai ricchi. Io sono arrivata a pagare il 60 per cento e più di tasse perché due lire ce le ho. Ma, dico io, se tu devi fare un bottino di quattrini tramite le tasse, e lo devi fare perché altrimenti sto Paese va a zero, non lo puoi fare sul dieci per cento della popolazione, che sono i cosiddetti ricchi. Quelli già li spremi. È inevitabile che devi andare sulle fasce più basse, perché sono quelle che contano più lavoratori. Invece no, lo Stato decide di spremere ancora di più i ricchi e quelli che fanno? Vanno a vivere da un’altra parte. Se tu come Stato mi chiedi più del 65 per cento di tasse, io sono costretto a chiudere”.

 Fonte

Cara Sabrina, uno stato che tassa chi più ha non è uno stato cattivo. E’ uno stato che fa uno dei suoi doveri: redistribuisce la ricchezza.